La straziante questione della fornitura di armi all’Ucraina è al centro dello scambio tra Mao Valpiana e Gad Lerner. Valpiana scrive che esiste un terzo modo di predicare la nonviolenza attiva. L’invio di armi europee a Kiev risponde a esigenze morali, politiche e strategiche: sostegno concreto ai combattenti per una giusta causa che solo da noi si può ottenere, favorendo l’usura delle forze di occupazione. Non ci sono bastate le lezioni della Libia e dell’Afghanistan, dove le armi occidentali sono finite nelle mani di bande rivali o dei talebani, con le conseguenze che sappiamo?. Riusciranno queste armi a fare la differenza in termini di capacità militare, potenza di fuoco, o sarà necessario alzare continuamente l’asticella, nella logica militare che vince chi ha le armi più letali, fino alle estreme conseguenze?. La minaccia proveniente dall’Occidente delle armi nucleari tattiche è iniziata con il reclutamento di bambini soldato. La minaccia nucleare rende la guerra di oggi diversa dalle altre. Va considerato il problema dell’invio di armi a una nazione che sta subendo un’aggressione armata. L’invio di armi provoca sempre una situazione di belligeranza. Il referente nazionale del movimento pacifista ucraino ci ha parlato dell’invio di armi. Il “cessate il fuoco” è bilaterale e non la resa di una delle parti, e la Santa Sede si sta adoperando per promuovere veri negoziati. In concreto, questo significa promuovere la de-escalation militare, iniziando ora a fare ciò che si doveva fare prima: ritirare le bombe nucleari presenti sul territorio europeo smantellando la “condivisione nucleare”; ricordare i contingenti militari della NATO recentemente inviati nell’Europa orientale e tenere una conferenza internazionale. Dal 1995 abbiamo avanzato proposte e progetti operativi per la costituzione della polizia internazionale, con formazione professionale per operatori di pace e mediatori, che avrebbero potuto intercedere nel conflitto nel Donbass. Invece di aumentare i budget militari dei singoli stati come deciso a Versailles, quei fondi dovrebbero essere utilizzati per creare la polizia internazionale che ancora manca. Aldo Capitini e Carlo Cassola, due storici antifascisti che hanno partecipato alla Resistenza, sono giunti a questa scelta politica e ne hanno fatto la missione della loro vita. Credo che il settore della ricerca e sviluppo della nonviolenza debba fare grandi passi avanti. Il Trattato del 1987 che smantellò i missili nucleari russi e americani pose fine alla Guerra Fredda, per la prima volta nella storia, a causa delle azioni di Mikhail Gorbaciov. La terza via della nonviolenza attiva è la predicazione. Rispondono a bisogni morali, politici e strategici a cui non mi sentirei di rinunciare: un sostegno concreto ai combattenti per una giusta causa che solo da noi si può ottenere e che favorisce l’usura delle forze di occupazione. I motivi per cui diciamo no al presidente ucraino quando ci chiede di stabilire una “no fly zone” sono ovvi, anche dallo schermo di una manifestazione pacifista. Siamo d’accordo che la soluzione non può venire dall’estensione internazionale del conflitto e che l’Unione Europea dovrà diventare indipendente da una NATO che è diventata allo stesso tempo fattore di instabilità e impotenza. “Inviare armi, esigenza morale e strategica” è l’articolo “tra guerra e resa c’è una terza via”. La lettera dei non violenti Valpiana e Gad Lerner è stata scritta dal non violento Il Fatto Quotidiano.

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