Un amico ci ha inviato una vecchia copia de “L’Informatore”, un settimanale sulla sponda destra del Ticino. Nel cinquantesimo anniversario della celebre data, i fatti, i luoghi e le vicende di quel grande aprile del ’45 vengono riesaminati da Giuseppe Cacciani. L’introduzione del regista è stata quella che mi ha convinto. La Resistenza italiana ha subito l’usura del tempo perché non è entrata con una sua precisa identità nella cultura, nella letteratura, nella scuola del nostro Paese. La riduzione della Resistenza al momento bellico della lotta partigiana viene narrata senza comprenderne il contesto civile, culturale, sociale. Il vero significato della Resistenza si è sempre più scolorito nel tempo e così sono rimasti alcuni eventi importanti a fluttuare nell’opinione pubblica. La resistenza è un rifiuto culturale e istituzionale della dittatura come scelta libera e illimitata di libertà politica basata sui principi inalienabili della persona umana e della democrazia. La visione è maturata attraverso la testimonianza morale, un’azione civile iniziata ben prima di esplodere nella lotta armata contro i nazifascisti. Nelle pagine sono racchiusi il ricordo del capitano Beltrami e la sua fine a Megolo, insieme a un ‘compagno’ presente al combattimento, al quale abbiamo dedicato tempo fa una ricerca storica. In un bellissimo articolo di Nino Chiovini si avverte l’uccisione di una giovane donna di umili origini, Cleonice Tomassetti, che altro non fu che un minaccioso messaggio di morte dei nazifascisti a tutte le donne che anche loro continuarono a combattere. Non ci tireremo indietro nemmeno di fronte alla repressione delle donne. Le lettere dei partigiani novaresi condannati a morte sono commoventi e danno motivo di riflessione su quanto sia stata dolorosa la conquista della libertà.

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