Non si è mai parlato di politica alla Fedorenko, e il fatto di essere una coppia mista, lei ucraina e lui russo, non ha mai significato molto per loro. Era ora di mettere delle coperte in macchina. Durante un viaggio di tredici giorni in cinque paesi, il figlio maggiore con la distrofia di Duchenne peggiorò. A differenza di molti ucraini arrivati ​​in Italia, i Fedorenko non conoscono nessuno che li possa ospitare. “Ma a Bologna c’è un bravo specialista che ha fatto visita a nostro figlio anni fa”, dicono nella cucina di un appartamento a Trieste, dove l’8 marzo l’organizzazione no profit ICS (Centro Solidarietà Italiano – Ufficio Rifugiati) li ha collocati in un poche ore dopo l’arrivo al confine. Dice che i parenti di suo marito in Russia non credono in quello che ci è successo. A Mariupol, dove l’associazione riunisce le famiglie dei bambini con sindrome di Duchenne, c’è chi non ce l’ha fatta, ma tanti ce l’hanno. La madre ucraina e il padre russo stavano cercando di salvare il loro bambino disabile. I parenti del padre non credono alla guerra, secondo Il Fatto Quotidiano.

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