L’Italia, insieme ad altre nazioni, si è recentemente impegnata ad aumentare la spesa militare al 2% del PIL. Otto anni fa era un impegno preso, o perché non c’erano nemici all’orizzonte o perché i soldi erano più utili altrove. Se solo due o tre mesi fa la lotta alle pandemie, la transizione energetica e la mitigazione dei cambiamenti climatici sembravano essere le nostre priorità, oggi chi dice che sarebbe meglio investire i 13-14 miliardi in salute, ricerca e servizi pubblici più che nelle armi è rappresentato come una specie di nemico della patria. I fautori del riarmo sostengono che sono necessari più investimenti per migliorare la nostra difesa. L’obiettivo era aumentare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo al 3% del PIL. L’Italia ha fissato un misero 1,51% come obiettivo nazionale, che era del 3% per Francia e Germania. Secondo i dati Istat più aggiornati, gli investimenti in ricerca non hanno mai superato l’obiettivo prefissato senza che nessuno si stracciasse i vestiti. Gli investimenti nella ricerca scientifica sono fondamentali non solo per rimanere competitivi in ​​un mondo complesso come il nostro, e quindi per garantire ricchezza, sviluppo e benefici occupazionali, ma anche per rispondere alle terrificanti sfide che il 21° secolo ci pone. Una volta avvenuta la transizione energetica, ci renderà indipendenti dai fossili e dai ricatti dei paesi non democratici che li producono, come la Russia. Sta alla classe dirigente decidere se le nostre tasse debbano essere utilizzate per creare un mondo migliore per i nostri figli e nipoti, investendo in ricerca e sviluppo, o dirottate verso un riarmo sconsiderato e fine a se stesso. Dobbiamo investire in istruzione, ricerca e salute per essere tra le democrazie più prospere e avanzate del mondo. Rischiamo di rimanere ancorati a logiche che altri Paesi hanno già abbandonato se non guardiamo oltre il nostro naso.

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